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Ci sono vite che nascono e altre che volano, ci sono respiri che si accendono e altri che evaporano. La Terra piange uno dei suoi frutti, il Cielo sorride al suo nuovo angelo.

Inizio questo articolo con questo pensiero.

Un pensiero dedicato ad una cara persona che in questi giorni ho salutato. Una persona semplice, generosa e amante della bellezza che la vita ci offre.

 

Me lo sono detta molte volte: “voglio visitare il Cimitero Monumentale di Milano”.

Finalmente lo visito, insieme a Roberto che mi accompagna in queste giornate dedicate alla scoperta del “mai visto”, anche lui appassionato di fotografia e non solo.

Anche in questa visita è complice lo studio, quello per l’esame di guida turistica.

Lo studio è il motore che inconsapevolmente mi conduce ad esplorare, capire, vedere.

Il risultato finale è sentire tuo quel luogo e poterlo raccontare con passione agli altri.

 

Entriamo e subito rimango stupita dalla grandiosità del cimitero, davvero “Monumentale”.

Prendiamo una mappa del sito all’Infopoint vicino all’ingresso e ci dirigiamo verso il Famedio, nome derivante dal latino famae aedes, ossia il Tempio della Fama e quindi destinato alla sepoltura e alla memoria di personaggi illustri.

Macchina fotografica immediatamente operativa.

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C’è un bel gioco di luci. Il sole entra dalle vetrate e scalda questo ambiente dove riposano grandi personaggi. Leggo i loro nomi e penso a come dev’essere stato conoscerli, scambiare quattro chiacchere con architetti, scrittori, poeti, musicisti.

Mi piace fare questo gioco a ritroso nel tempo e pensare a quanto sia importante la Storia per l’essere umano, a come il passato conduca a riflettere sul presente.

Usciamo e dopo qualche scatto nelle gallerie laterali entriamo in questo “Museo a cielo aperto”, definizione che ben si sposa con l’ambiente che ci circonda.

Mentre camminiamo, dico a Roberto “Dobbiamo cercare l’edicola della famiglia Campari, rielaborazione plastica del Cenacolo leonardesco e chiamata anche dai milanesi l’Ultimo Aperitivo”.

Voltiamo i nostri capi e compare l’edicola della famiglia Campari!

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Bellissima. Realizzata dallo scultore Giannino Castiglioni nel 1935. Su un basamento di pietra, si staglia il meraviglioso gruppo scultoreo in bronzo.

Così semplice ed immediato, mi attrae per la ricchezza di particolari e scorci che catturo subito con lo sguardo e l’obiettivo.

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CURIOSITA’

La storia di Campari inizia in un caffè di Novara, il Caffè dell’Amicizia, un locale che Gaspare Campari aveva acquistato nel 1860 dopo aver lavorato in due luoghi storici di Torino e avervi appreso l’arte del liquorista. A Novara, Gaspare crea i suoi primi prodotti di distilleria, che si chiamano Elixis di lunga vita, Olio di Rhum, Liquore Rosa. Ma gli affari non vanno bene. Intorno al 1865 si trasferisce a Milano e apre una bottega di liquori, al Coperto dei Figini. Quando il Coperto viene demolito per lasciar posto alla Galleria Vittorio Emanuele II, il negozio viene trasferito sull’angolo di quest’ultima, dove ancora oggi è presente, chiamato affettuosamente dai milanesi Camparino.

A gestire il locale è la moglie Letizia, mentre lui si dedica a perfezionare i prodotti delle sue distillazioni: nascono così il Fernet Campari e il famosissimo Bitter.

Alla morte di Gaspare, nel 1882, l’attività è ben avviata tanto da far scrivere al Corriere della Sera “Lascia 5 figli e un bel patrimonio di circa mezzo milione”.

Nel 1920 il Conte Camillo Negroni, stanco del solito aperitivo Americano (Bitter Campari, Vermouth rosso e seltz) chiese al barman del Caffè Casoni di Firenze una spruzzatina di Gin in sostituzione del seltz. Nasce così il Negroni, un altro dei più famosi aperitivi italiani.

Nel 1932 Davide, figlio di Gaspare lanciò il Campari Soda, l’aperitivo “pronto da bere”, dal gusto unico e inimitabile, ottenuto dalla perfetta miscela di Campari e soda. La caratteristica bottiglietta a forma di calice rovesciato, disegnata dal maestro futurista Fortunato Depero è ancora oggi icona del design italiano.

Ma continuiamo con la nostra visita.

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Superato l’Ossario Centrale si presenta davanti ai nostri occhi l’edicola della Famiglia Bernocchi, un tronco di cono che subito mi ricorda la colonna di Traiano a Roma per il suo variegato stuolo di figure che si snodano, come una pergamena, sul corpo conico.

Vi è rappresentata la Via Crucis. Ci sono ben 110 statue di marmo! Visto questo numero considerevole, Giannino Castiglioni che le scolpì tutte, utilizzò come modelli gli operai impegnati ad edificare la tomba.

Affacciandomi all’interno, scopro che il tronco di cono è vuoto e che le statue sono a tutto tondo. Un’inusuale ma suggestiva prospettiva che regala nuovi scatti.

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I committenti furono i tre fratelli Bernocchi, Antonio, Andrea e Michele, imprenditori nel campo del tessile ma anche molto attivi nel sociale, ricordati come uno dei maggiori esempi di mecenatismo della città.

Tra i tanti contributi che diedero, donarono al Comune di Milano il Palazzo della Triennale, contribuirono a ricostruire la Scala distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e donarono le apparecchiature elettroniche necessarie alla prima trasmissione televisiva (1949) che fu realizzata proprio nel palazzo della Triennale.

Poco dopo incontriamo le sedici croci di Adolfo Wildt, monumento realizzato per la famiglia Chierichetti. L’opera rimase in realtà incompiuta poiché nel progetto originale ogni croce doveva sorreggere una statua ma la realizzazione fu interrotta per mancanza di ulteriori fondi.

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Poi ti siedi a parlare e il tempo passa…silenzioso, tra i filari di tigli e di tassi, il sole che batte sugli eterei corpi e i nudi volti delle statue.

Solo ora mi balena in testa una domanda bizzarra: chissà quante parole, quanti discorsi hanno ascoltato quelle statue? Infinite.

Continuiamo a camminare e rimango stupita dalla forme, dai giochi di colori, ombre e luci che generano le sculture. Così naturalmente umane. Bellissime.

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Figure geometriche, misteriose, una figura che cade, una che vola, leggera, verso il cielo con il vestito e i capelli stropicciati dal vento che soffia, gli sguardi che si incontrano…

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Ci fermiamo, colpiti da questo gruppo, così intimo, così familiare.

Quali parole sono evaporate dalla bocca di quella donna e che dolce quel gesto di tenersi per mano, così straordinariamente reale.

DSC_0467Ritorniamo verso il Famedio ma prima ammiriamo l’edicola della Famiglia Besenzanica, scolpita da Enrico Butti (1907-1912). Natura, Uomo, Lavoro uniti in solenne ed eterna comunanza nella straordinaria fusione di simboli e stili.  La Natura raffigurata dal possente corpo femminile; in alto a sinistra emerge la testa, sul retro in basso sono ben visibili i piedi. Il Lavoro, uno straordinario gruppo scultoreo in bronzo, rappresentante due contadini al lavoro, con i buoi al traino.

Infine, notiamo il Monumento ai caduti nei campi di concentramento nazisti.

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Un cubo, dal chiaro stile razionalista, con fili metallici e lastre di marmo di Candoglia, quest’ultime una grandissima rarità. Secondo una legge del 1927, infatti, il marmo estratto dalle cave di Candoglia deve essere utilizzato solo ed esclusivamente per la costruzione e la manutenzione del Duomo ma per questo monumento, vista l’importanza e gravità dell’evento a cui è dedicato, fu fatta un’eccezione e ne fu concesso l’uso. L’opera è realizzata dal gruppo BBPR (Banfi – Barbiano di Belgiojoso  – Peressutti – Rogers. Cognomi degli architetti italiani che lo hanno costituito nel 1932). Per citare qualche altra opera a loro legata: la Torre Velasca a Milano, il “grattacielo con le bretelle”!

Prima di uscire fermo l’immagine di un bacio, dolce e sincero. Forse quel bacio che ciascuno di noi regala ad un suo caro, prima di lasciarlo scivolare verso l’alto, verso il cielo.

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UN PO’ DI STORIA

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L’idea di istituire nella città di Milano un unico e grande cimitero, per sostituire i numerosi, insalubri ed anche miseri cimiteri periferici, nasce nel 1837. Si concretizza però solo nel 1862, dopo l’Indipendenza dalla dominazione austriaca, con l’approvazione del progetto presentato da Carlo Maciachini, architetto lombardo già di notevole prestigio, ad un concorso indetto dal Municipio di Milano nel 1860. Il Monumentale, inaugurato nel 1866, nasce come cimitero aperto a tutti i milanesi “a tutte le forme e fortune”, ma è chiara sin dall’inizio la volontà del Municipio di farlo diventare “monumento” della milanesità, luogo di memorie civiche e, come tale, dedicato ad un pubblico più ampio e non solo ai dolenti.

L’opera del Maciachini incorpora diversi suggerimenti stilistici secondo il gusto eclettico dell’epoca, associando gusti del Gotico-Pisano con il Romanico-Lombardo e inserti bizantineggianti.

Nelle sculture e nelle architetture del Monumentale si possono ripercorrere le vicende della città e gran parte della sua storia artistica, come in un vero, straordinario museo a cielo aperto.

Per maggiori informazioni e saperne di più…

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Aggiungo altre due foto, scattate da Roberto!
Sono del segno zodiacale dell’ariete. In queste foto Toro vs Ariete!

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Credits

Cimitero Monumentale di Milano – Google – Roberto Oldani