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settembre 2015

Cimitero Monumentale a Milano

 

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Ci sono vite che nascono e altre che volano, ci sono respiri che si accendono e altri che evaporano. La Terra piange uno dei suoi frutti, il Cielo sorride al suo nuovo angelo.

Inizio questo articolo con questo pensiero.

Un pensiero dedicato ad una cara persona che in questi giorni ho salutato. Una persona semplice, generosa e amante della bellezza che la vita ci offre.

 

Me lo sono detta molte volte: “voglio visitare il Cimitero Monumentale di Milano”.

Finalmente lo visito, insieme a Roberto che mi accompagna in queste giornate dedicate alla scoperta del “mai visto”, anche lui appassionato di fotografia e non solo.

Anche in questa visita è complice lo studio, quello per l’esame di guida turistica.

Lo studio è il motore che inconsapevolmente mi conduce ad esplorare, capire, vedere.

Il risultato finale è sentire tuo quel luogo e poterlo raccontare con passione agli altri.

 

Entriamo e subito rimango stupita dalla grandiosità del cimitero, davvero “Monumentale”.

Prendiamo una mappa del sito all’Infopoint vicino all’ingresso e ci dirigiamo verso il Famedio, nome derivante dal latino famae aedes, ossia il Tempio della Fama e quindi destinato alla sepoltura e alla memoria di personaggi illustri.

Macchina fotografica immediatamente operativa.

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C’è un bel gioco di luci. Il sole entra dalle vetrate e scalda questo ambiente dove riposano grandi personaggi. Leggo i loro nomi e penso a come dev’essere stato conoscerli, scambiare quattro chiacchere con architetti, scrittori, poeti, musicisti.

Mi piace fare questo gioco a ritroso nel tempo e pensare a quanto sia importante la Storia per l’essere umano, a come il passato conduca a riflettere sul presente.

Usciamo e dopo qualche scatto nelle gallerie laterali entriamo in questo “Museo a cielo aperto”, definizione che ben si sposa con l’ambiente che ci circonda.

Mentre camminiamo, dico a Roberto “Dobbiamo cercare l’edicola della famiglia Campari, rielaborazione plastica del Cenacolo leonardesco e chiamata anche dai milanesi l’Ultimo Aperitivo”.

Voltiamo i nostri capi e compare l’edicola della famiglia Campari!

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Bellissima. Realizzata dallo scultore Giannino Castiglioni nel 1935. Su un basamento di pietra, si staglia il meraviglioso gruppo scultoreo in bronzo.

Così semplice ed immediato, mi attrae per la ricchezza di particolari e scorci che catturo subito con lo sguardo e l’obiettivo.

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CURIOSITA’

La storia di Campari inizia in un caffè di Novara, il Caffè dell’Amicizia, un locale che Gaspare Campari aveva acquistato nel 1860 dopo aver lavorato in due luoghi storici di Torino e avervi appreso l’arte del liquorista. A Novara, Gaspare crea i suoi primi prodotti di distilleria, che si chiamano Elixis di lunga vita, Olio di Rhum, Liquore Rosa. Ma gli affari non vanno bene. Intorno al 1865 si trasferisce a Milano e apre una bottega di liquori, al Coperto dei Figini. Quando il Coperto viene demolito per lasciar posto alla Galleria Vittorio Emanuele II, il negozio viene trasferito sull’angolo di quest’ultima, dove ancora oggi è presente, chiamato affettuosamente dai milanesi Camparino.

A gestire il locale è la moglie Letizia, mentre lui si dedica a perfezionare i prodotti delle sue distillazioni: nascono così il Fernet Campari e il famosissimo Bitter.

Alla morte di Gaspare, nel 1882, l’attività è ben avviata tanto da far scrivere al Corriere della Sera “Lascia 5 figli e un bel patrimonio di circa mezzo milione”.

Nel 1920 il Conte Camillo Negroni, stanco del solito aperitivo Americano (Bitter Campari, Vermouth rosso e seltz) chiese al barman del Caffè Casoni di Firenze una spruzzatina di Gin in sostituzione del seltz. Nasce così il Negroni, un altro dei più famosi aperitivi italiani.

Nel 1932 Davide, figlio di Gaspare lanciò il Campari Soda, l’aperitivo “pronto da bere”, dal gusto unico e inimitabile, ottenuto dalla perfetta miscela di Campari e soda. La caratteristica bottiglietta a forma di calice rovesciato, disegnata dal maestro futurista Fortunato Depero è ancora oggi icona del design italiano.

Ma continuiamo con la nostra visita.

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Superato l’Ossario Centrale si presenta davanti ai nostri occhi l’edicola della Famiglia Bernocchi, un tronco di cono che subito mi ricorda la colonna di Traiano a Roma per il suo variegato stuolo di figure che si snodano, come una pergamena, sul corpo conico.

Vi è rappresentata la Via Crucis. Ci sono ben 110 statue di marmo! Visto questo numero considerevole, Giannino Castiglioni che le scolpì tutte, utilizzò come modelli gli operai impegnati ad edificare la tomba.

Affacciandomi all’interno, scopro che il tronco di cono è vuoto e che le statue sono a tutto tondo. Un’inusuale ma suggestiva prospettiva che regala nuovi scatti.

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I committenti furono i tre fratelli Bernocchi, Antonio, Andrea e Michele, imprenditori nel campo del tessile ma anche molto attivi nel sociale, ricordati come uno dei maggiori esempi di mecenatismo della città.

Tra i tanti contributi che diedero, donarono al Comune di Milano il Palazzo della Triennale, contribuirono a ricostruire la Scala distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale e donarono le apparecchiature elettroniche necessarie alla prima trasmissione televisiva (1949) che fu realizzata proprio nel palazzo della Triennale.

Poco dopo incontriamo le sedici croci di Adolfo Wildt, monumento realizzato per la famiglia Chierichetti. L’opera rimase in realtà incompiuta poiché nel progetto originale ogni croce doveva sorreggere una statua ma la realizzazione fu interrotta per mancanza di ulteriori fondi.

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Poi ti siedi a parlare e il tempo passa…silenzioso, tra i filari di tigli e di tassi, il sole che batte sugli eterei corpi e i nudi volti delle statue.

Solo ora mi balena in testa una domanda bizzarra: chissà quante parole, quanti discorsi hanno ascoltato quelle statue? Infinite.

Continuiamo a camminare e rimango stupita dalla forme, dai giochi di colori, ombre e luci che generano le sculture. Così naturalmente umane. Bellissime.

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Figure geometriche, misteriose, una figura che cade, una che vola, leggera, verso il cielo con il vestito e i capelli stropicciati dal vento che soffia, gli sguardi che si incontrano…

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Ci fermiamo, colpiti da questo gruppo, così intimo, così familiare.

Quali parole sono evaporate dalla bocca di quella donna e che dolce quel gesto di tenersi per mano, così straordinariamente reale.

DSC_0467Ritorniamo verso il Famedio ma prima ammiriamo l’edicola della Famiglia Besenzanica, scolpita da Enrico Butti (1907-1912). Natura, Uomo, Lavoro uniti in solenne ed eterna comunanza nella straordinaria fusione di simboli e stili.  La Natura raffigurata dal possente corpo femminile; in alto a sinistra emerge la testa, sul retro in basso sono ben visibili i piedi. Il Lavoro, uno straordinario gruppo scultoreo in bronzo, rappresentante due contadini al lavoro, con i buoi al traino.

Infine, notiamo il Monumento ai caduti nei campi di concentramento nazisti.

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Un cubo, dal chiaro stile razionalista, con fili metallici e lastre di marmo di Candoglia, quest’ultime una grandissima rarità. Secondo una legge del 1927, infatti, il marmo estratto dalle cave di Candoglia deve essere utilizzato solo ed esclusivamente per la costruzione e la manutenzione del Duomo ma per questo monumento, vista l’importanza e gravità dell’evento a cui è dedicato, fu fatta un’eccezione e ne fu concesso l’uso. L’opera è realizzata dal gruppo BBPR (Banfi – Barbiano di Belgiojoso  – Peressutti – Rogers. Cognomi degli architetti italiani che lo hanno costituito nel 1932). Per citare qualche altra opera a loro legata: la Torre Velasca a Milano, il “grattacielo con le bretelle”!

Prima di uscire fermo l’immagine di un bacio, dolce e sincero. Forse quel bacio che ciascuno di noi regala ad un suo caro, prima di lasciarlo scivolare verso l’alto, verso il cielo.

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UN PO’ DI STORIA

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L’idea di istituire nella città di Milano un unico e grande cimitero, per sostituire i numerosi, insalubri ed anche miseri cimiteri periferici, nasce nel 1837. Si concretizza però solo nel 1862, dopo l’Indipendenza dalla dominazione austriaca, con l’approvazione del progetto presentato da Carlo Maciachini, architetto lombardo già di notevole prestigio, ad un concorso indetto dal Municipio di Milano nel 1860. Il Monumentale, inaugurato nel 1866, nasce come cimitero aperto a tutti i milanesi “a tutte le forme e fortune”, ma è chiara sin dall’inizio la volontà del Municipio di farlo diventare “monumento” della milanesità, luogo di memorie civiche e, come tale, dedicato ad un pubblico più ampio e non solo ai dolenti.

L’opera del Maciachini incorpora diversi suggerimenti stilistici secondo il gusto eclettico dell’epoca, associando gusti del Gotico-Pisano con il Romanico-Lombardo e inserti bizantineggianti.

Nelle sculture e nelle architetture del Monumentale si possono ripercorrere le vicende della città e gran parte della sua storia artistica, come in un vero, straordinario museo a cielo aperto.

Per maggiori informazioni e saperne di più…

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Aggiungo altre due foto, scattate da Roberto!
Sono del segno zodiacale dell’ariete. In queste foto Toro vs Ariete!

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Credits

Cimitero Monumentale di Milano – Google – Roberto Oldani

 

Villa Taranto a Verbania

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E’ arrivato settembre. Dopo un forte temporale notturno ci svegliamo in questo sabato mattina dal cielo color azzurro pastello che sfuma di grigio verso le montagne.

Dove andiamo?

Propongo a Stefano un luogo vicino ma non ancora esplorato: Villa Taranto a Verbania.

Complice le informazioni apprese durante lo studio per l’esame di accompagnatore turistico, le colorate fotografie che si possono ammirare stampate sulle guide turistiche e vagando sul web.

Stefano dal canto suo propone di andarci in moto e…si parte!

Parcheggio gratuito di fronte ai giardini, caffè al Bar Ristorante che troviamo subito all’interno, biglietteria, chiosco per vendita cartoline e materiale illustrato e chiosco per la vendita di piante coltivate nei giardini.

Entriamo e subito impugno la macchina fotografica per scattare qualche foto ma, dopo un veloce sguardo al display che segna [-E-] (e non vuol dire Elisa), ci accorgiamo che l’SD è rimasta a casa e quindi mi accontento di catturare immagini con l’iPad (un vero peccato!).

Eccoci avvolti da un’atmosfera bellissima, dove tempo e spazio sembrano fermarsi. Non c’è molta gente, il cielo è nuvoloso e ogni tanto cade qualche tenera goccia di pioggia accompagnata dalla musica (tra le piante scorgerete delle vere casse acustiche!) che sinuosa si diffonde nell’aria.

IMG_1608Un viale colorato di verde ci accoglie, come in un abbraccio, in un giardino incantato, dove tutto è perfetto, dove ogni elemento della natura si accosta in maniera armoniosa, intima, quasi regale. Rosso, giallo, viola, rosa, bianco si mescolano insieme all’acqua delle fontane, all’erba, curatissima, del prato, alle sculture e alle architetture. Se ci penso, mi viene spontaneo paragonarlo ad un quadro realizzato da un grande Maestro. Non ci sono solo colori, ma anche ben 20.000 varietà e specie botaniche che si presentano ai nostri occhi maestose, importanti, in tutta la loro straordinaria, pura natura e bellezza.

Seguiamo il percorso indicato sulla mappa che ci consegnano (gratis) all’ingresso e ben segnalato all’interno dei giardini.

Scopriamo che il viale d’ingresso si chiama Viale delle Conifere.

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Arriviamo alla Fontana dei Putti, così chiamata per le sculture che l’adornano, avvolta dalle gigantesche foglie della Colocasia antiquorum chiamata con definizione pittoresca “orecchia d’elefante”.  I nostri sensi si perdono nel Labirinto delle Dahlie, uno spettacolo di oltre 1700 piante in fioritura. Tra le 350 varietà spiccano le decorative a fiore grande, le pompons, i cui capolini sferici a nido d’ape non raggiungono i 5 mm di diametro e l’appariscente emery paul dall’intenso colore rosso granata.

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Diamo uno sguardo nella Serra dove ammiriamo, sbalorditi, la Victoria Cruziana, originaria del Paraguay – Argentina. Si tratta di un’enorme ninfea equatoriale, la “regina” delle piante acquatiche, i cui semi a Villa Taranto, arrivarono nel 1956 provenienti dall’orto botanico di Stoccolma. Le sue foglie sfiorano i due metri di diametro e possono sopportare il peso di circa 10 Kg. Breve tappa al Mausoleo, costruito nel 1965 su disegno del professor Renato Bonazzi per esaudire il desiderio del defunto Capitano Neil Mc Eacharn (poi lo conosceremo meglio), che aveva chiesto di riposare nel giardino che fu la sua “ragion di vita”.

Camminiamo lungo la Valletta, artificialmente scavata nel 1935 e sovrastata da un ponticello con arcata unica.

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In cima incontriamo la Villa, acquistata nel 1931 a seguito di un’inserzione apparsa sul Times. Lo stile è ispirato ad architetture della Normandia. Edificata da Augusto Guidini, architetto ticinese nel 1853. Il soffice prato all’inglese antistante è rallegrato da una zampillante fontana. La villa non è visitabile e dal 1995 è sede della Prefettura del Verbano – Cusio – Ossola.

Rimango particolarmente incantata dai Giardini terrazzati. Vengo immediatamente rapita dal profumo che, forte e intenso, esala da qualche fiore, forse dalle ninfee nell’acqua.

Ci sediamo per una breve pausa all’esterno della caffetteria che si trova in questo punto del percorso botanico.
Piove e, come da mia consuetudine, inizio a fermare lo sguardo sulle gocce che cadono nel laghetto colorato di ninfee. Adoro i cerchi che si disegnano nell’acqua, casse di risonanza dei muti pensieri del cielo che si infrangono sulla terra.

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Riprendiamo la visita. Davanti a noi si staglia un sinuoso e maestoso Bacino che ospita il Nelumbo nucifera, il fior di loto, dai carnosi e profumati petali di color rosa sfumato. Fiore sacro ai buddisti e simbolo dell’India, le sue foglie di circa 50/60 cm, sono impermeabili all’acqua e innalzandosi di oltre un metro e mezzo svettano in una vasca ovoidale.
Le gocce d’acqua che sostano su queste foglie, a Stefano sembrano gocce di colla a caldo, ad Elisa sentieri di cristallo, disegnati dalla pioggia.

Il suono leggiadro delle cascatelle e dei giochi d’acqua si alternano ad aiuole di piante annuali, creando un incantevole accostamento di forme e di colori.

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Qui si innalza la Statua bronzea del Pescatore, opera del napoletano Vincenzo Gemito. Nelle mani stringe un piccolo pesce. Chissà quanti muti segreti conserva il piccolo Pescatore. Mi piace pensare al potere magico di queste statue, sentinelle di luoghi incantati.

In quello che scopriamo essere il Prato delle Personalità, dal nome dei vari personaggi che hanno messo a dimora un particolare esemplare di specie arborea in questo lembo del giardino, ammiriamo la Davidia Involucrata, pianta originaria della Cina. Esemplare messo a dimora nel 1938 dall’infante di Spagna Don Jaime ha assunto delle dimensioni ed un portamento talmente caratteristico da costituire motivo d’interesse anche in assenza delle curiose e appariscenti infiorescenze. E’ la spettacolare fioritura, cui si deve il nome comune di “albero dei fazzoletti” o “albero delle colombe”.

IMG_1672E ancora, il Giardino d’inverno con piante grasse, carnivore e ancora un’altra meravigliosa vasca con ninfee, il Belvedere, il Bosco dei rododendri, gli aceri, le magnolie, i tassi, le camelie…

Un vero paradiso, uno straordinario spettacolo della natura che regala romantiche suggestioni ed emozione uniche. Assolutamente da vivere.

Lo salutiamo, semplicemente felici di averlo incontrato e con la promessa di ritornare per ammirare i colori dell’autunno inoltrato (la prossima volta con macchina fotografica operativa!).

Come continua la giornata?

 IMG_20150905_165511583_HDRProseguiamo in moto verso Intra dove ci imbarchiamo, insieme alla nostra Honda, sul battello (l’unico del Lago Maggiore adibito al trasporto per auto, moto e pullman) che ci condurrà sulla sponda lombarda, a Laveno.

Seduti su una panchina, mangiamo un bel gelato (l’ultimo della stagione…chi può dirlo?) accarezzati dai raggi del sole che timidi forano le nuvole e illuminano il cielo.

Il cerchio si chiude. Alle spalle lascio un azzurro nitido che si mescola al grigio di qualche temporale, pronto a scaricare, ancora, ampolle d’acqua, entrambi accarezzati da un timido arcobaleno.

Lungo la via del ritorno, mi perdo ad ammirare Settembre.

I colori cambiano, si fanno più tenui e leggeri, dai campi evapora il profumo della terra bagnata e si aprono le zolle di terra, pronte a trasformarsi.

Il cielo è bellissimo, infuocato, con le nuvole che disegnano straordinarie figure.

Come al solito riesce a commuovermi e a regalarmi un sottile sorriso sulle labbra che, tra poco, si appoggerà sul mio morbido cuscino fatto di sogni da consumare.

UN PO’ DI…STORIA

“Un bel giardino non ha bisogno di essere grande, ma deve essere la realizzazione del vostro sogno anche se è largo un paio di metri quadrati e si trova su un balcone”.

Così spiegava il Capitano Neil Mc Eacharn a cui dobbiamo la nascita di questi meravigliosi giardini. Tra le piante presenti, alcune delle quali uniche in Europa ed acclimatate dopo lungo lavoro, sono state disposte con senso d’arte in una cornice di bellezza, fra lago e monti.

Nel lontano 1931 il Capitano Scozzese decise di acquistare la proprietà dalla Marchesa di Sant’Elia per trasformarla in un esemplare giardino all’inglese, ubicato in un lembo d’Italia che, pur con maggior morbidezza e ricchezza di toni, poteva ricordargli la nativa Scozia. Le tappe della creazione dei nuovi giardini videro diverse fasi lavorative, sino alla loro ultimazione nel 1940.

Realizzato così il “suo” giardino, che chiamò Villa Taranto, in memoria di un suo antenato, il Maresciallo McDonald, nominato Duca di Taranto da Napoleone, il Capitano volle che il significato dell’opera gentile e poderosa venisse proiettato nel tempo e, con un esempio di squisita generosità, donò la proprietà allo Stato Italiano esprimendo il desiderio che la sua opera avesse continuità nel futuro.

Oggi il patrimonio botanico dei Giardini di Villa Taranto è vastissimo: comprende circa 1.000 piante non autoctone e circa 20.000 varietà e specie di particolare valenza botanica. La Villa non è visitabile, in quanto è adibita a sede della Prefettura della nuova Provincia del Verbano – Cusio – Ossola.

Dal 1952 i Giardini sono aperti al pubblico, da Aprile ad Ottobre, e l’afflusso dei visitatori supera ormai le 150.000 unità per anno.

Al Cap. Neil Mc Eacharn, morto il 18 aprile 1964, e le cui spoglie mortali riposano ora – unitamente a quelle della famiglia del suo Amministratore dott. Antonio Cappelletto – in una Cappella – Mausoleo appositamente costruita nei giardini, è subentrato, nell’onerosa opera di manutenzione del compendio, l’Ente Giardini Botanici Villa Taranto “Cap. Neil Mc Eacharn”, col preciso scopo di conservare all’Italia e a tutto il mondo questo impareggiabile gioiello di botanica e di bellezze naturali.

ALCUNE CURIOSITA

All’interno dei giardini noterete numerosi Aceri Giapponesi. Il nome del genere, Acer Japonicum, è coniato dal termine latino acer (duro, aspro) per la particolare durezza del legname. L’epiteto specifico latino japonicum sta ad indicare la provenienza giapponese della pianta. In Giappone, patria d’origine, questa pianta è conosciuta come “Maiku Jaku”, che letteralmente significa “pavone danzante”, con riferimento alla bellezza del fogliame ed agli splendidi colori che esso assume nella stagione autunnale.

IMG_1618Incontrerete anche qualche tasso (non l’animale ovviamente). Il nome comune deriva dal greco taxon che significa “freccia”, e l’appellativo di albero della morte nasce proprio dal suo impiego nella fabbricazione di dardi velenosi e dalla sua caratteristica tossicità, oltre al fatto che veniva (e viene ancora oggi) utilizzato nelle alberature dei cimiteri.
Storicamente il tasso è il legno per eccellenza nella costruzione di archi. La fama acquisita dal legno di questa pianta è dovuta soprattutto alla larghissima diffusione che ebbe durante il Medioevo nella costruzione di archi da guerra, soprattutto in Inghilterra. Le caratteristiche che lo rendono così adatto alla fabbricazione di archi sono l’enorme resistenza, sia alla compressione che alla trazione, e l’incredibile elasticità.

Per maggiori informazioni e saperne di più…

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Credits

Villa Taranto – Google

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