Cari Amici, la ripresa lavorativa di visite guidate a Milano, 🗣 porta sempre con sé una grande carica ed entusiasmo. Non solo. Ritornare nei luoghi più cari regala l’opportunità di ri-vedere con occhi nuovi 👀 dettagli già conosciuti e dotati di un eterno fascino. Così, mentre mi perdo letteralmente tra i cortili del Castello Sforzesco, fotografo per l’ennesima volta la scopetta di Ludovico il Moro. 🧹 . Si tratta di uno dei tanti e singolari stemmi sforzeschi che costellano non solo Milano, ma tutti quei luoghi che hanno visto il passaggio di uno degli Sforza più astuti della casata. . Conoscete la storia di questo stemma? Ve la racconto io. Avete mai sentito parlare della celeberrima Impresa della scopetta? 🧹 . In primis, l’impresa, è la rappresentazione simbolica di un proposito, di un desiderio, di una linea di condotta per mezzo di un motto o di una figura che vicendevolmente si interpretano. L’impresa della scopetta è legata proprio a Ludovico il Moro, così chiamato per la sua carnagione scura e per il suo bel caschetto nero corvino. . Durante il suo ducato egli non perdeva mai occasione di ricordare a tutti l’aspetto morale della sua politica. Così, in una delle sale del Castello Sforzesco di Milano 🏰 fece eseguire un curioso dipinto in cui vi era raffigurata una dama in abbigliamento regale, ✨ con una veste ricamata ad emblemi delle città italiane. Accanto stava uno scudiero moro in atto di ripulirla con la famosa scopetta. 🧹 A chi chiedeva lumi, Ludovico rispondeva: “La donna è l’Italia, io sono lo scudiero, la scopetta è per nettar l’Italia d’ogni bruttura”.
Testimonianza tangibile del significato simbolico della scopetta e di quanto vi ho appena raccontato, sono le seguenti parole: (Ludovico il Moro) “aveva fatto dipingere in Castello l’Italia in forma di reina 👸🏽 che aveva in dosso una veste d’oro ✨ ricamata a ritratti di città che rassomigliavano al vero e dinanzi le stava uno scudiero moro negro con una scopetta in mano. Perché dimandando l’ambasciator fiorentino al Duca al che serviva quel fante negro, rispose che scopettava quella veste e le città per nettarle d’ogni bruttura, volendo che s’intendesse il Moro essere arbitro dell’Italia e assettarla come gli pareva”. . A scrivere queste parole fu l’erudito comasco Paolo Giovio nel suo Dialogo delle imprese eroiche ed amorose, composto a Firenze negli anni Cinquanta del Cinquecento: un sagace trattatello, di genere squisitamente cinquecentesco, dedicato appunto alle “imprese”. . Non è finita qui. Oltre alla scopetta, lo stemma sforzesco è caratterizzato anche da un nastro sul quale compare uno dei motti preferiti di Ludovico Merito et tempore, ovvero “per merito e con tempo”. . Dove si trova la scopetta 🧹 che ho fotografato al Castello Sforzesco di Milano? Andate a cercarla nel cortile della Rocchetta! Un consiglio: guardate in alto! . Buona ricerca! 🕵🏻🕵🏻♂️ . Un caro saluto 😉 elysArte
Il 21 marzo è una data che sentiamo familiare.
Non solo perché è il primo giorno di primavera. 🌷
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Il primo giorno di primavera del 1931 nacque a Milano una piccola ape furibonda 🐝 che, con i suoi versi e il suo carisma, irruppe nel mondo della poesia contemporanea, stravolgendolo.
La sua non era solo una passione.
Fin da quando era bambina, infatti, sentiva dentro di sé il bisogno intrinseco, innato, di scrivere, di esprimersi e raccontarsi attraverso componimenti poetici e brevi testi letterari. 🖊
Era qualcosa di cui lei non poteva fare a meno.
Una vera e propria esigenza.
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Il suo nome era Alda Merini.
Un nome destinato ad entrare nella Storia.
La sua nascita fu una sorta di vocazione: il primo giorno di primavera, lo sappiamo, è intriso di un’energia e di una forza di rinnovamento uniche e autentiche.
Un’energia e una forza che si appiccicarono all’anima di questa grande poetessa, capace, nonostante le difficoltà, di aggrapparsi all’amore per la Vita.
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La figura di Alda Merini fu indissolubilmente legata a quella del Naviglio Grande, accanto al quale visse dal secondo dopoguerra fino alla morte, sopraggiunta il 1 novembre 2009.
Fu così che Alda Merini divenne la poetessa dei Navigli per antonomasia.
Per questo motivo, voglio ricordarla con una poesia legata ad una realtà che Alda viveva quotidianamente.
Lavandaie
Lavandaie avvizzite sul corpo del Naviglio con un cilicio stretto stretto intorno alla vita, lavandaie violente come le vostre carni, donne di grande fede sopravvissute al lutto della bomba di Hiroshima… Lavandaie corrotte dall’odore del vino, ossequiose e prudenti fortissime nell’amore che sbattete indumenti come sbattete il cuore.
(da “La Terra Santa e altre poesie”, 1984)
La poesia Lavandaie è dedicata ad uno dei luoghi più suggestivi di Milano, incastonato proprio lungo l’alzaia del Naviglio Grande, non lontano dalla Darsena.
Questo luogo è destinato, infatti, a diventare uno degli scorci più amati non solo dai milanesi ma dalle persone di tutto il mondo.
E’ il Vicolo dei Lavandai.
Vicolo dei lavandai oggi
Il vicolo è dedicato ai lavandai, e non alle lavandaie, perché, nell’Ottocento, ad occuparsi del servizio di lavaggio erano gli uomini, organizzati in una vera e propria associazione istituita nel Settecento, la Confraternita dei Lavandai di Milano.
Chissà perché questa mansione toccò poi alle donne. 🤷🏻♀️
Un tempo le lavandaie si inginocchiavano su cassette di legno dette brellin, spesso contenenti un cuscino rivestito di cuoio, strofinando i panni sugli stalli di pietra ancora visibili nel vicolo.
Il detersivo usato dalle lavandaie era il cosiddetto palton, una pasta semidensa a base di cenere, sapone e soda. 🧼 I locali della vecchia drogheria che vendeva sapone, candeggina e spazzole alle donne impegnate al lavatoio, oggi ospitano il ristorante El Brellin che, con i camini e i soffitti a cassettoni, ha mantenuto intatta l’atmosfera del luogo.
Vicolo dei lavandai, 1926
Non è finita qui.
Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Poesia, creata nel 1999 e patrocinata dall’UNESCO.
Un patrimonio immateriale universale da conservare e tramandare, proprio come ci suggerisce Alda in questo suo importante e suggestivo messaggio.
«A tutti i giovani io raccomando: aprite i libri con religione, non guardateli superficialmente, perché in essi è racchiuso il coraggio dei nostri padri. Soprattutto amate i poeti: essi hanno vangato per voi la terra per tanti anni, non per costruire tombe o simulacri, ma altari. Pensate che potete camminare su di noi come dei grandi tappeti e volare con noi oltre la triste realtà quotidiana.»
Grazie Alda!
Non vedo l’ora di tornare a raccontarti lungo la sponda del Naviglio!
Un caro saluto 🤗 elysArte
Murale dedicato ad Alda Merini in via Magolfa n. 32, Milano, nei pressi de La Casa delle Artiste, luogo che conserva la memoria di Alda.
GIUSEPPE UGOLINI, Dipinto di Re Vittorio Emanuele II, XIX sec. Museo del Tricolore, Reggio Emilia
Cari Amici,
oggi desidero ricordarvi uno dei momenti più autentici della Storia d’Italia.
. Torino, 14 marzo 1861.
Dopo una breve discussione, la Camera dei Deputati approvò il disegno di legge che conferì al re Vittorio Emanuele II il titolo di Re d’Italia, 🤴 proprio nel giorno del suo quarantunesimo compleanno!
I sì furono 294: i due voti mancanti furono quelli di due deputati che confusero le palline (bianca ⚪️ e nera ⚫️) da inserire nelle urne.
L’esito del voto venne salutato da un interminabile applauso. 👏🏻
La carica fu assunta con la promulgazione delle legge il 17 marzo; quel giorno nacque ufficialmente il Regno d’Italia battezzato con la seguente formula divina:
“Vittorio Emanuele II assume per sé e per i suoi successori il titolo di re d’Italia. Gli atti del governo e ogni altro atto che debba essere intitolato in nome del Re sarà intestato con la formola seguente: (Il nome del Re). Per Provvidenza divina, per voto della Nazione Re d’Italia”.
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Non è finita qui.
160 anni fa, il 14 marzo 1861, il verde, 🟢 il bianco ⚪️ e il rosso, 🔴 il tricolore italiano per antonomasia, diventò la bandiera del regno. 🇮🇹
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Quando penso al tricolore, per una sorta di deformazione passionale, penso all’imbandieramento della Madonnina “tuta d’ora e piscinina” che veglia sulla città di Milano dall’alto della Guglia Maggiore dal 1774. Questa ricorrenza risale alle Cinque Giornate di Milano del 1848 durante le quali Luigi Torelli e Scipione Bagaggi alzarono il tricolore sulla statua della Vergine per segnalare l’evacuazione della città da parte delle truppe austriache.
Quella vista rincuorò l’intera città e risvegliò l’orgoglio nei combattenti delle barricate, portandoli alla vittoria.
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Ancora oggi, in occasione dei solenni eventi religiosi e civili, sull’alabarda posta alla destra dell’Assunta, sventola la bandiera italiana. 🇮🇹
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Il tricolore viene regolarmente issato nei seguenti giorni:
– 10 febbraio – Giorno del ricordo degli istriani, fiumani e dalmati.
– 11 febbraio – Patti lateranensi.
– 17 marzo – Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera.
– 18-22 marzo – Cinque Giornate di Milano.
– 25 aprile – Liberazione dal nazifascismo.
– 1 maggio – Festa del lavoro.
– 9 maggio – Giornata d’Europa.
– 2 giugno – Festa della Repubblica.
– 28 settembre – Insurrezione popolare di Napoli contro i nazifascisti.
– 4 ottobre – San Francesco e Santa Caterina, patroni d’Italia.
– 4 novembre – Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate.
– 12 novembre – Giornata del ricordo dei Caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace e Giornata della memoria dei marinai scomparsi in mare.
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Un caro saluto 🤗 elysArte
Cari Amici,
il 13 marzo del 52 d.C. un umile pellegrino giunse alle porte di Milano sorreggendosi su un bastone.
Questo straniero, originario di Cipro, portò con sé qualcosa di straordinario per quei tempi: il cristianesimo.
Il suo nome era Giuseppe, soprannominato Barnaba, “figlio della consolazione”.
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E’ in una radura 🌳 che si estendeva fuori dalla città che, secondo la leggenda, Barnaba inaugurò la sua missione conficcando una croce di rami secchi in una pietra rotonda con tredici raggi incisi sopra e predicando alla folla. 🗣
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Questa pietra, collocata anticamente nei pressi dell’odierno Planetario, venne portata all’interno della Basilica di San Dionigi a Porta Orientale (oggi Porta Venezia), dove vi rimase per secoli fino alla demolizione della chiesa, avvenuta nel 1783.
Traportata nella chiesa di Santa Maria al Paradiso in Corso di Porta Vigentina, 14, è ancora in questo luogo che possiamo ammirarla.
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L’arrivo di Barnara portò a Milano non solo il cristianesimo ma anche la primavera, 🌸 il cui arrivo, tradizionalmente, si festeggia in città proprio il 13 marzo.
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Fu così, infatti, che nacque la festa del Tredesin de Marz.
Per celebrare questa ricorrenza, mentre intorno alla chiesa di Santa Maria Paradiso si svolge uno speciale mercato di fiori, 🌷 al suo interno, proprio sopra quella pietra dai tredici raggi, viene esposta una croce che riproduce quella fatta con semplici rami da San Barnaba.
. “E quî giornad del tredesin de Marz? Gh’era la fera, longa longhera, giò fina al dazi, coi banchitt de vioeur, de girani, coi primm roeus, e tra el guardà, l’usmà, el toccà, se vegneva via col coeur come on giardin, pensand al bell faccin de Carolina che sotta al cappellin a la Pamela e col rosin sul sen la pareva anca lee la primavera.”
La prima Pietra d’Inciampo posata a Milano nel gennaio 2017 in Corso Magenta 55, dove abitava Alberto Segre, padre di Liliana. Foto Comune di Milano.
Cari Amici,
avete mai sentito parlare delle Pietre d’Inciampo?
Sono dei piccoli blocchi quadrati di pietra (10×10 cm), ricoperti di ottone lucente, posti davanti la porta della casa nella quale ebbe ultima residenza un deportato nei campi di sterminio nazisti: ne ricordano il nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione, la data della morte.
Un progetto monumentale europeo per tenere viva la Memoria di tutti i deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti che non hanno fatto ritorno alle loro case.
La prima Pietra d’Inciampo, Stolpersteine, in tedesco, fu posata a Colonia, in Germania, nel 1995 per iniziativa dell’artista Gunter Demnig (nato a Berlino nel 1947) come reazione a ogni forma di negazionismo e di oblio, al fine di ricordare tutte le vittime del Nazional-Socialismo, che per qualsiasi motivo siano state perseguitate: religione, razza, idee politiche, orientamenti sessuali.
Grazie a un passa-parola tanto silenzioso quanto efficace, oggi si incontrano Pietre d’Inciampo in oltre 2.000 città per un totale di oltre 70.000 in tutta Europa.
In Italia, le prime Pietre d’Inciampo furono posate a Roma nel 2010 e attualmente se ne trovano a Bolzano, Genova, L’Aquila, Livorno, Milano, Reggio Emilia, Siena, Torino, Venezia oltre ad altri numerosi centri minori. Ve ne sono 237 in Lombardia e 90 a Milano.
Per spiegare la propria idea, Gunter Demnig – che posa personalmente le “Pietre d’Inciampo” – ha fatto proprio un passo del Talmud: “Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome”.
Obiettivo della “Pietra d’Inciampo”, un inciampo emotivo e mentale, non fisico, è mantenere viva la memoria delle vittime dell’ideologia nazi-fascista nel luogo simbolo della vita quotidiana – la loro casa – invitando allo stesso tempo chi passa a riflettere su quanto accaduto in quel luogo e in quella data, per non dimenticare.
A Milano con un formale atto costitutivo, in data 8 settembre 2016 è stato formato un Comitato di scopo, denominato: “Comitato per le “Pietre d’Inciampo” – Milano”, che raccoglie, probabilmente per la prima volta dopo la Liberazione e lo scioglimento dei C.L.N., tutte le associazioni legate in qualche modo alla memoria della Resistenza, di tutte le Deportazioni, dell’Antifascismo. Associazioni che hanno così deciso di partecipare ad un progetto importante di memoria in modo condiviso e paritetico.
Presidente e simbolo di questa raggiunta condivisione è niente di meno che Liliana Segre, nominata Senatrice a Vita nel gennaio 2018 con decreto del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Non-a-caso la prima Pietra d’Inciampo a Milano fu posata nel gennaio 2017 in Corso Magenta 55, dove abitava Alberto Segre, padre di Liliana, anche lei deportata ad Auschwitz il 30 gennaio 1944, all’età di 13 anni e sopravvissuta, mentre il padre morì il 27 aprile 1944. Anche i nonni paterni furono deportati e uccisi e le loro Pietre d’Inciampo sono state posate nel gennaio 2019 accanto a quella di Alberto.
Le altre prime cinque pietre sono state posate in memoria di Gianluigi Banfi, Adele Basevi Lombroso, Dante Coen, Melchiorre De Giuli, Giuseppe Lenzi.
Quest’anno verranno posate 31 nuove Pietre d’Inciampo a Milano e per l’occasione è stato creato un account Instagram milanopietredinciampo dove avrete l’opportunità di leggere la storia delle vite di chi venne strappato dalla propria casa e più non vi tornò.
Tra le tante vite nascoste in questi sampietrini di piccole dimensioni, mi soffermo su quella di Gianluigi Banfi (detto Giangio).
Nato il 2 aprile 1910 a Milano, arrestato a Milano il 21 marzo 1944 per attività cospirativa antifascista.
Deportato a Fossoli il 27 aprile 1944 e quindi a Mauthausen il 4 agosto 1944.
Muore il 10 aprile 1945, esattamente 40 anni prima della mia nascita, nel campo di Gusen.
Ne avete mai sentito parlare?
E se vi dicessi che è l’autore, insieme ad altri, della Torre Velasca di Milano (1958)?
Laureato in architettura al Politecnico di Milano, Gianluigi Banfi, a soli 21 anni fonda nel 1931 con Belgiojoso, Peressuti e Rogers lo Studio BBPR, che sviluppa un’intensa attività professionale nel campo dell’architettura, dell’urbanistica, degli allestimenti, dell’arredamento e del design, diventando, in pochi anni, punto di riferimento della Architettura Razionalista in Italia.
Dopo la proclamazione dell’Impero nel ‘36 e l’emanazione delle leggi razziali del ‘38 Banfi diventa manifestamente antifascista. Dopo l’8 settembre ‘43 lo studio di via dei Chiostri diventa un centro di organizzazione e di cospirazione del Movimento Giustizia e Libertà, di iniziative antifasciste, di diffusione di stampa clandestina, di assistenza al passaggio di antifascisti ed ebrei in Svizzera e di compilazione di mappe per gli aviolanci degli Alleati alle formazioni Partigiane. Viene arrestato il 21 marzo del 1944 con Belgiojoso a causa di una delazione estorta che comporta la liquidazione del gruppo dirigente milanese del Partito d’Azione. Carcerato a San Vittore, parte il 27 aprile 1944 dal Binario 21 per il campo di transito di Fossoli, dove è impegnato nel dibattito politico che rappresenta il contributo democratico ai valori fondamentali trasmessi dalla Deportazione Politica alla Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza. Parte da Fossoli il 25 luglio ‘44 per Bolzano e arriva a Mauthausen il 4 agosto. Muore a Gusen-2 di fame, di stenti, di torture, di lavoro schiavo, di sevizie e malattie il 10 aprile 1945, a 35 anni appena compiuti.
La sua Pietra d’Inciampo si trova proprio dov’era il suo studio, in Via dei Chiostri, 2, non lontano dalla Pinacoteca di Brera.
Un’altra curiosità. Anche Belgiojoso viene deportato a Gusen, ma riesce a sopravvivere alla prigionia del campo e a far ritorno in Italia dopo la liberazione, da parte delle truppe alleate, del lager nazista. Questa forte presa e compromissione nella guerra dei BBPR si manifesta nel lavoro dello studio, dopo la fine del conflitto, con un’opera emblematica come il monumento ai morti nei lager tedeschi a Milano nel Cimitero monumentale (1946) che fu anche uno dei primi progetti dello studio BBPR. Sospeso al centro della matrice di tubi bianchi una gavetta contiene terra dal campo di campo di sterminio di Gusen. I pannelli di marmo bianco e nero, parlano di martiro, persecuzione, giustizia e libertà. Intorno al monumento otto lapidi portano nomi di Milanesi morti nei lager.
Tornando alle Pietre d’Inciampo dobbiamo essere consapevoli che la piccola pietra di ottone chiama letteralmente ciascuno di noi che, parafrasando Primo Levi, “viviamo sicuri nelle nostre tiepide case e tornando a casa a sera troviamo cibo caldo e visi amici” a riflettere su quanto sia importante “ricordarsi di ricordare” e vigilare perché ciò che è accaduto non si ripeta.
Un caro saluto 🤗
elysArte
Credits
Il testo di questo articolo si è affidato alle parole del meraviglioso sito web: www.pietredinciampo.eu
Cari Amici,
anche se l’Epifania le feste le ha già portate via, desidero condividere con voi una bella favola ✨ che non vedo l’ora di raccontare a mia figlia Sara e il nostro dialogo me lo immagino così. 🥰
E. C’erano una volta i tre Magi. S. Chi sono i Magi, mamma? E. Se ci pensi bene Magi ricorda la parola magia.
Sembra, infatti, che questi uomini fossero come dei maghi, capaci di leggere il cielo: sono gli astrologi.
C’erano una volta i tre Magi che, viaggiando sulla schiena dei loro cammelli, 🐪 iniziarono a seguire una stella ⭐ nel cielo. Questa stella un giorno si fermò sulla casa di un bambino chiamato Gesù.
Quando entrarono incontrarono lui e la sua famiglia.
Avevano portato con sé dei doni speciali da regalare al bambino: oro, incenso e mirra. S. Perché i Magi regalarono questi doni al bambino? E. Sai, succede anche oggi. Quando sei nata, parenti e amici ti hanno portato dei doni. S. Sì, certo perché conoscono te e papà. I Magi conoscevano Gesù e la sua famiglia? E. Sì, perché quel bambino chiamato Gesù era il re dei Giudei, un popolo antico. Non solo. Questo re fece cose grandi, ma te le racconterò un’altra volta. S. Mamma, i Magi avevano un nome? E. Certo che sì. Si chiamavano: Gaspare, Melchiorre e Baldassare. S. Che nomi bizzarri! E. Già! Sai che esistono ancora, non molto lontano da Novara? S. Davvero??? Dove? E. A Milano, nella chiesa di Sant’Eustorgio. S. Oh sì! La conosco bene! Sai, nella pancia ho ascoltato i tuoi racconti: è l’unica chiesa di Milano ad avere un campanile sul quale vi è una stella a otto punte! La stella dei Magi! E. Ora ascolta bene questa storia. Secondo un’antica tradizione quando i Magi morirono a Gerusalemme, i loro corpi furono successivamente riuniti in un’unica tomba e trasferiti a Costantinopoli da Elena, madre dell’imperatore Costantino e appassionata ricercatrice delle primitive vestigia del Cristianesimo.
Nel IV secolo, l’imperatore di Costantinopoli, Costante, donò a un signore di nome Eustorgio, i corpi dei tre Magi, durante il suo viaggio in Oriente, prima di diventare vescovo a Milano.
Le sacre spoglie furono trasportate da Costantinopoli alle coste tirreniche via nave. Qui l’arca (un sarcofago di grandi dimensioni) sbarcò e Eustorgio la pose su un carro trainato da buoi. 🐂Giunti a Porta Ticinese, all’ingresso di Milano, l’arca divenne pesantissima e i buoi crollarono esausti a terra. Eustorgio capì che si trattava di un segno divino: fu così che, in quel luogo, ordinò di fondare una chiesa.
Fu l’imperatore Federico Barbarossa, durante il saccheggio di Milano del 1162, ad impossessarsi dei corpi dei Magi, facendoli trasportate a Colonia, in Germania, dove tuttora si trovano.
Nei secoli successivi i milanesi cercarono di ottenere la restituzione delle reliquie.
Solo agli inizi del 1900, grazie all’intervento del cardinal Ferrari, alcuni frammenti dei sacri resti tornarono alla basilica di Sant’Eustorgio.
Ed è ancora lì che oggi si trovano.
Non solo. Accanto c’è anche un grande e antico sarcofago, rimasto vuoto, sul cui coperchio sono scolpite una stella e la scritta, settecentesca, Sepolcrum trium Magorum. S. Oh sì, anche questo ricordo: quella scritta l’hanno tradotta in dialetto milanese, i trì lumagòn! 🐌 🐌 🐌 E. Infine, cara Sara, devi sapere che dal 1300, a Milano, in occasione della festività dell’Epifania si svolge il corteo storico dei Magi organizzato proprio dalla parrocchia di Sant’Eustorgio. S. Mamma, ti stai dimenticando un particolare … E. Sì, ho già capito. All’interno della chiesa si trova un bellissimo capitello, di quelli istoriati, i miei preferiti, che raffigura proprio la favola che ti ho raccontato: il carro trainato dai buoi con l’arca dei Magi, scortata da un angelo. S. Mamma, sai una cosa? Anche se questa storia me l’hai raccontata tantissime volte, la trovo sempre una favola bellissima!
Solo un’ultima domanda: la stella dei Magi era una stella cometa? E. Questa, Sara, è un’altra storia.
Cari Amici,
oggi desidero condividere con voi 1️⃣1️⃣ CURIOSITA’ sul salotto per antonomasia di Milano.
Un alveare di ferro e vetro, dentro il quale si può udire un silenzioso fruscio fatto di scalpiccii, risate, parole, posate, che da secoli rappresentano la sua anima vibrante e carica di energia.
Sto parlando della ɢᴀʟʟᴇʀɪᴀ ᴠɪᴛᴛᴏʀɪᴏ ᴇᴍᴀɴᴜᴇʟᴇ ɪɪ.
1️⃣ ɢɪᴜsᴇᴘᴘᴇ ᴍᴇɴɢᴏɴɪ è il nome dell’ingegnere-architetto emiliano che vinse, nel 1863, il concorso per la realizzazione di una strada a funzione prevalentemente commerciale coperta a vetri, sul sedime dell’attuale Galleria.
2️⃣ La cerimonia della posa della prima pietra della Galleria Vittorio Emanuele II si tenne il 7 marzo 1865: quel giorno nevicò! ❄️
Di fronte ai 200.000 milanesi presenti, Giuseppe Mengoni allungò al re 👑 Vittorio Emanuele II un vassoio d’argento con una cazzuola e del cemento per sigillare la prima pietra. 🧱
3️⃣ La sua costruzione impiegò 700.000 giornate di lavoro 🔨 e i costi complessivi ammontarono a circa L.7,000,000 💷💷💷.
4️⃣ La Galleria fu ultimata nel 1867 e inaugurata domenica 15 settembre di quell’anno: questa volta fu una giornata di sole! 🌞
Tuttavia, non poteva ritenersi veramente compiuta, fino a che non fu concluso l’arco monumentale di ingresso da Piazza del Duomo.
La sua realizzazione si protrasse per oltre dieci anni!
5️⃣ L’arco doveva essere completato entro il 31 dicembre 1877 quando, alla vigilia dell’inaugurazione, costò la vita al suo architetto: intento a controllare da vicino i dettagli di una finitura, Mengoni precipitò dalle impalcature il giorno prima! 😨
6️⃣ Al centro della Galleria, dentro al cosiddetto Ottagono, guardando in alto, agli angoli, compaiono quattro donne 👩🏻🦰: sono le personificazioni delle Quattro parti del Mondo (Africa, Asia, Europa e America). Inizialmente dipinte nel 1867, furono sostituite all’inizio del Novecento dai mosaici odierni. Lo stesso accadde alla allegorie delle Attività Umane (Agricoltura, Arte, Industria e Scienza) dei due archi del braccio corto della Galleria.
7️⃣ Dove sono finite le 24 statue in gesso di italiani illustri collocate in origine sui quattro viali interni della Galleria? I giorni della merla ❄️ del gennaio 1891 si fecero sentire e le statue furono letteralmente sgretolate dalle continue gelate ❄️, per essere poi rimosse definitivamente.
8️⃣ Dal 1867 e per circa dieci anni l’illuminazione 💡della Galleria avveniva grazie ad un sofisticato marchingegno chiamato ᴇʟ ʀᴀᴛᴛɪɴ perché dal basso sembrava un topolino. 🐀
Ogni volta che accendeva le luci, dalla folla riunita in Galleria partiva un vigoroso applauso. 👏🏻
9️⃣ Il primo milanese a nascere in Galleria fu Davide, figlio di Gaspare Campari.
Nel primo decennio del Novecento Davide aprì in Galleria Il Camparino che ancora oggi conserva gli arredamenti dell’epoca.
🔟 Secondo il regolamento comunale, gli esercizi che aprono la loro attività in Galleria devono presentare le loro insegne con scritte oro su sfondo nero.
1️⃣1️⃣ Al Ristorante Savini Frank Sinatra chiese di andare a Sassello a comprare una confezione di amaretti da consumare come dessert. 🍪
Alle prossime 1️⃣1️⃣ CURIOSITA’!
elysArte
Giuseppe Mengoni
Domenico Induno, Posa della prima pietra della Galleria di Milano il 7 marzo, 1865, olio su tela, 1867, Milano. Museo di Milano
La Galleria in costruzione
Costruzione dell’Arco di ingresso alla Galleria da piazza del Duomo, con Giuseppe Mengoni e l’équipe tecnica in primo piano, 1877
Le statue in gesso all’interno della Galleria
El rattin della Galleria
Credits
Foto da highlinegalleria, ingalleria, 24orenews
Il murale in corso XXII Marzo a Milano. Foto: MilanoToday
Quando si avvicina il 𝟽 ᴅɪᴄᴇᴍʙʀᴇ non riesco a non pensare alla ricorrenza di 𝔖𝔞𝔫𝔱’𝔄𝔪𝔟𝔯𝔬𝔤𝔦𝔬.
In questi giorni ho letto la notizia di un nuovo grande murale a Milano, realizzato dall’artista Igor Scalisi Palminteri sulla facciata di un palazzo in corso XXII Marzo, raffigurante Sant’Ambrogio come sᴜᴘᴇʀᴇʀᴏᴇ ᴅᴇʟʟᴇ ᴀᴘɪ.🐝
Vi rimando alla lettura dell’articolo dedicato in calce al mio racconto, perché desidero subito condividere con voi una domanda spontanea: cosa c’entra Sant’Ambrogio con le api?
E’ il suo primo biografo, Paolino, a raccontarcelo. Segretario di Ambrogio, egli scrisse, infatti, a poco più di vent’anni dalla sua morte, la Vita di Ambrogio.
Ambrogio nacque attorno al 333/334 d.C. a Treviri, città (ora in Germania) sulle rive della Mosella. Una città importante perché sede della prefettura del pretorio delle Gallie, una delle più alte magistrature dell’Impero Romano.
Ambrogio era l’ultimo di tre fratelli, dopo Marcellina e Satiro.
Paolino riferisce di un miracolo che avrebbe contrassegnato la vita di Ambrogio fin dai suoi primi anni.
Egli stava riposando nella culla, quando all’improvviso sopravvenne uno sciame di api che gli coprirono il volto, entrando e uscendo in continuazione dalla bocca. Si trovavano lì vicino i suoi genitori e sua sorella Marcellina, insieme ad un’ancella che si precipitò per scacciare lo sciame, ma il padre lo impedì, timoroso certo per la sorte del figlio, ma anche incuriosito di vedere come sarebbe finito quell’evento. E, infatti, senza fare alcun male al fanciullo, lo sciame d’un tratto si levò in alto e scomparì. “Questo mio figlio diverrà qualcosa di grande!” esclamò il padre.
Quelle api lasciarono sulle labbra del piccolo un po’ del loro miele🍯: questo fatto fu interpretato come un segno profetico della dolce e nutriente eloquenza del futuro vescovo, apprezzato soprattutto per la sua predicazione, elegante e ricca di contenuti.
Il miracolo delle api, coro ligneo del Duomo di Milano, seconda metà del Cinquecento-inizi Seicento, Pellegrino Tibaldi e altri artisti. Fu Carlo Borromeo a scegliere la vita di Sant’Ambrogio come soggetto per la decorazione degli stalli del coro.
Sono, infatti, le dolci parole di Ambrogio a colpire il cuore del popolo milanese che decise di nominarlo futuro vescovo. Vediamo come.
In primis non dobbiamo dimenticare che Ambrogio non intraprese subito la carriera ecclesiastica. Anzi. Proveniente da una famiglia nobile e abbiente, a Roma, città dove si trasferì insieme ai familiari dopo la morte del padre, completò i suoi studi di grammatica, retorica e filosofia, acquisendo le basi per lanciarsi nella carriera di funzionario imperiale.
Dopo aver esercitato la professione di avvocato 🧑💼 ed essere stato consigliere di Sesto Pretorio a Sirmio (zona ora vicina all’odierna Belgrado), attorno al 370 venne per Ambrogio l’occasione di un prestigioso avanzamento in carriera: la nomina a governatore della provincia dell’Emilia-Liguria con sede a ᴍɪʟᴀɴᴏ.
Milano. Quella Milano, capitale dell’Impero d’Occidente, quella Milano tanto celebrata nella sua grandezza (ricordate la lapide di Ausonio nel cortile del Castello Sforzesco?).
ᴍɪʟᴀɴᴏ ᴇ ᴀᴍʙʀᴏɢɪᴏ: inizia così la storia di un legame indissolubile.
Siamo nel IV secolo d.C. e la chiesa milanese stava vivendo una grave esperienza di lacerazione. Nel 355 il vescovo di Milano Dionigi fu mandato in esilio dall’imperatore Costanzo II, che impose come suo successore un vescovo proveniente dalla Cappadocia di nome Aussenzio. La questione era insieme di carattere dottrinale e politico: mentre Dionigi, infatti, professava la fede cattolica, l’imperatore aveva sposato la causa dell’eresia ariana.
E Aussenzio era filoariano.
Il problema divenne acuto dopo la sua morte, perché ognuna delle due fazioni in cui era divisa la Chiesa milanese, quella ariana e quella cattolica, voleva che diventasse vescovo uno della propria parte.
Ne sorse un tumulto che rischiava di degenerare in un vero e proprio disordino pubblico.
Ambrogio, come magistrato, si sentì in dovere di accorrere in Duomo per mettere pace.
E fu in quell’occasione, che, secondo la tradizione, un bambino gridò all’improvviso “ᴀᴍʙʀᴏɢɪᴏ ᴠᴇsᴄᴏᴠᴏ!”
E il popolo intero, prima diviso, si trovò quasi miracolosamente d’accordo su quella designazione.
“Quale resistenza opposi per non essere ordinato vescovo!”.
Così scrisse quasi vent’anni dopo quei fatti Ambrogio stesso.
Non tutti conoscono, infatti, i suoi tentativi, quasi pittoreschi, di evitare l’importante nomina.
E’ sempre Paolino a raccontarci alcuni degli escamotage messi in atto da Ambrogio.
1️⃣ Essendo governatore e quindi competente ad amministrare la giustizia, Ambrogio si fece erigere una tribuna e iniziò ad emanare sentenze ingiuste, dando addirittura l’ordine di torturare alcuni imputati.
2️⃣ In seconda battuta, dal momento che il popolo non si convinceva ed anzi insisteva, fece entrare in casa sua donne di malaffare; ma per la seconda volta il popolo non ci cascò. Anzi, iniziò a gridare 🗣“Il tuo peccato ricada su di noi!”.
I milanesi, insomma, lo volevano a tutti i costi loro vescovo.
3️⃣ Tentò la fuga da Milano verso Pavia, ma una fitta nebbia 🌫 lo disorientò facendolo ritrovare, dopo ore e ore di cammino, a Porta Romana.
I milanesi, ritrovatoselo in città, per non rischiare di perderlo un’altra volta, se lo presero in custodia.
Per risolvere la questione, il popolo si appellò all’imperatore Valentiniano che aderì all’idea di elevare il suo funzionario politico alla carica di vescovo.
4️⃣ Ambrogio tentò una seconda fuga, questa volta meglio organizzata; ma la sentenza dell’imperatore e il conseguente editto che intimava, a chiunque sapesse qualcosa di Ambrogio, di denunciarlo e di consegnarlo, pena la confisca dei beni, obbligò l’amico Leonzio che lo nascose in casa sua a Pontelungo (PV) a ricondurlo a Milano.
E fu così che domenica 𝟹𝟶 ɴᴏᴠᴇᴍʙʀᴇ 𝟹𝟽𝟺, per sua esplicita richiesta, Ambrogio ricevette il battesimo. 💧
Il fatto di essere stato scelto, o meglio costretto, dai suoi concittadini, a passare dalla carriera politica a quella ecclesiastica per diventare loro vescovo, lo mise di fronte alla necessità di entrare pienamente nella Chiesa ricevendo il sacramento del battesimo.
Lo ricevette probabilmente nel battistero di Santo Stefano alle Fonti, rinvenuto alla fine del XIX secolo sotto la sacrestia settentrionale del Duomo e parte dell’antico complesso episcopale.
Il 𝟽 ᴅɪᴄᴇᴍʙʀᴇ 𝟹𝟽𝟺 Ambrogio, all’incirca quarantenne, venne finalmente ordinato vescovo, pastore di quella Chiesa che poi da lui avrebbe preso il suo nome, la ℭ𝔥𝔦𝔢𝔰𝔞 𝔄𝔪𝔟𝔯𝔬𝔰𝔦𝔞𝔫𝔞.
Dopo aver rivoluzionato in maniera consistente la fisionomia della città di Milano, dopo una vita di miracoli, di preghiera e dedizione al suo popolo, nelle prime ore di quel sabato santo, 𝟺 ᴀᴘʀɪʟᴇ 𝟹𝟿𝟽, Ambrogio morì.
Nella domenica di Pasqua il suo corpo venne traslato all’interno di quella basilica, che tutti da tempo chiamavano Ambrosiana, perché fatta da lui costruire come luogo della sua sepoltura.
Il suo corpo, ancora oggi, giace sotto l’altare, insieme a quello dei santi Gervaso e Protasio.
Chi fu il suo successore?
Fu Ambrogio stesso a designarlo quando, qualche giorno prima di morire, dal suo letto, dove giaceva malato pronunciò tre parole destinate ad entrare nella storia della Chiesa milanese per sempre: “senex sed bonus” ovvero “vecchio, ma buono”. Parole riferite ad una delle persone più vicine alla personalità di Ambrogio: il prete sɪᴍᴘʟɪᴄɪᴀɴᴏ. Fu proprio lui ad accogliere Ambrogio appena nominato vescovo, a prepararlo al battesimo e a guidarlo nei primi passi dell’episcopato, a dargli lezioni di teologia e circa il metodo di lettura e interpretazione della Bibbia. Fu proprio lui a diventare vescovo di Milano, quando Ambrogio morì.
Continuerei a raccontarvi di Ambrogio e di tutte quelle opere e quei luoghi che sono intimamente connessi alla sua figura, per ore e ore.
Vi prometto di continuare a farlo … dal vivo! 🗣🗣🗣
Un caro saluto 😊
elysArte
Murales di Corso di Porta Ticinese. “Milano Street History”, è il progetto commissionato da Don Augusto Casolo, che circonda il muro della Basilica di San Lorenzo. Il murale racconta due millenni di storia attraverso la rappresentazione di volti celebri della storia di Milano da Sant’Ambrogio ad Attila, da Carlo Magno a Leonardo da Vinci, dal Manzoni a Giuseppe Verdi, dagli Sforza a Napoleone. Foto: ClubMilano
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