Cari Amici,
in questo secondo momento di attesa, continuo con entusiasmo la mia rubrica ARTE IN CASA.🎨🏠

Anche se non possiamo realmente essere in loco, il mio desiderio è sempre quello di regalarvi brevi racconti per farvi compagnia, per ricordarvi che, appena possibile, andremo a conoscere e condividere insieme la storia di un monumento, le emozioni di un quadro, le curiosità di una città.

Una coincidenza.

In occasione del primo lockdown la prima visita guidata annullata, a causa dell’emergenza Covid-19, avrebbe dovuto svolgersi alle Gallerie d’Italia, a Milano, alla mostra Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna.
Data: 8 marzo 2020.

La prima visita guidata annullata in occasione della seconda chiusura?
8 novembre 2020, Cimitero Monumentale di Milano.

Convinta che deve pur esistere una connessione, continuo la mia rubrica con un racconto dedicato ad una delle tombe del più famoso museo a cielo aperto di Milano, una delle mie preferite, anche per il sottile legame affettivo che ho subito instaurato con l’opera.

Sto parlando di una delle sepolture più antiche del Cimitero Monumentale: la sepoltura della famiglia di Giovanni Maccia.
Firmata da Luigi Crippa è datata 1869, tre anni dopo l’inaugurazione del cimitero, avvenuta il 2 novembre 1866.

Conoscere la personalità di Giovanni Maccia è significativo per comprendere la fisionomia della sepoltura.

La prima informazione, interessante per tutte le persone che abitano a sud-ovest di Milano, è che questo agiato mercante di tessuti e chincaglierie, nacque a Ossona nel 1791 e morì a Milano a 76 anni.

Giovanni Maccia fu un negoziante integerrimo come recita la sua lastra tombale posta direttamente sotto il monumento funebre: dal 1854, infatti, Giovanni Maccia, fu il proprietario di un rifornito e apprezzato magazzino di filati e merceria nella Contrada della Lupa a Milano, nel sestiere di Porta Ticinese, magazzino che nel 1859 venne trasformato in un ben avviato negozio di ferramenta e ottonami.

Nel 1863 egli fondò l’Opera Pia Maccia nella Parrocchia di San Satiro a Milano, presso cui risiedeva. L’istituzione caritatevole garantiva assistenza alle gestanti, alle madri in difficoltà e ai bambini poveri della città.
Come ricorda l’iscrizione sotto al fedele ritratto scultoreo collocato sopra la porta, Giovanni Maccia fu, in pratica, l’inventore del baliatico, ovvero il mestiere della balia.

Si spiega così la monumentale presenza di una donna e due bambini, di una madre con i suoi adorati figli: il primo, seduto accanto a lei, la osserva; il secondo è dolcemente attaccato al suo seno. Adoro il lento incalzare di questa donna che, mentre allatta, apre lentamente, con la mano sinistra, quella porta, sottile confine tra la vita terrena e l’aldilà. Non solo. Quella porta, infatti, conduce madre e figli nella realtà di conforto e carità dell’Opera Pia Maccia.
Completano la sepoltura, al di sopra della scena, tre personificazioni allegoriche: la Speranza, a sinistra, la Beneficenza al centro e la Fede a destra.

Perché sono affezionata a questa sepoltura?

Perché riesce sempre a ricordarmi, con affetto, la mia balia per eccellenza: la “zia” Carla.
Una donna semplice e genuina, che “allevandomi” mi ha insegnato il valore delle piccole cose.

Questo è uno degli aspetti più importanti del mio lavoro: le connessioni che si instaurano, naturalmente, tra il racconto e la vita reale.

Un caro saluto 🤗

elysArte